martedì, aprile 10, 2007

Cosa è cambiato con la sinistra...

Le relazioni internazionali di un Paese non si costruiscono attraverso interpretazioni domestiche. Ma con scelte politiche ben precise. Quelle che sta facendo l’Italia in questi mesi, concretizzano una discontinuità esplicita con tutto ciò che era stato con il governo Berlusconi. Non c’è un nuovo “americanismo di sinistra”. Per vicinanza agli Stati Uniti, dall’11 settembre in poi, si intende quella visione multilaterale secondo cui chi vive nella libertà e nella democrazia si fa carico di promuoverla. Auung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel ’91 e ancora oggi detenuta politica in Birmania, supplicava: “per favore, usate la vostra libertà per promuovere la nostra”; credo che in questo possa essere riassunto il significato della parola willing. E’ una missione politica, da cui Palazzo Chigi ora sta deviando. Con la scusa di rapporti con l’America che assumono altre formule. Basta leggere alcune dichiarazioni di esponenti della sinistra. Fausto Bertinotti, intervistato di recente al Tg1, ha affermato che “occorre superare le categorie di antiamericanismo e filoamericanismo, e lavorare per una politica di pace”. Romano Prodi, invece, si è più volte trincerato nella non meglio precisata difesa di interessi nazionali. Il più perspicace è stato D’Alema, che, sabato scorso, intervenendo ad un convegno romano ha dichiarato: "C’e’ bisogno dell’ Europa sulla scena internazionale in un rapporto di cooperazione con gli Stati Uniti ma anche con l’ idea che in questa cooperazione noi siamo una faccia importante dell’occidente". Continuando poi: "gli americani qualche volta ci hanno spinto a uscire da certe pigrizie e penso ai Balcani... Pero’ quando la logica di potenza dell’ azione americana non e’ riequilibrata dalla cultura politico diplomatica europea finisce per produrre piu’ guasti di quelli che vuole risolvere ". Insomma, va bene stare a fianco dell’America soltanto quando alla Casa Bianca c’è Clinton e la dittatura da abbattere è quella di Milosevic. Sarebbe un errore credere che, alla base di questo atteggiamento, ci sia soltanto l’influenza delle componenti radicali della coalizione. L’attuale governo non è amico degli Stati Uniti non solo a causa dei riferimenti parlamentari e governativi di chi grida “dieci, cento, mille Nassirya”, ma anche a causa di quel sentimento gauchista proprio della burocrazia europea (quella burocrazia che, ricordiamolo, ha allontanato in maniera sempre più significativa i cittadini dalle istituzioni di Bruxelles) che ha sempre guardato alla Francia come alla stella polare di un’Europa in eterna competizione con gli Stati Uniti. La posizione di Prodi si ritrova anche nel resto della sinistra moderata. Per questo, non può stupirci come, nonostante si speri in una frattura sulla politica estera, questa non sarà mai così significativa come la si prevede. Guardiamo a come è stata gestita la questione della base di Vicenza. Prodi non ha mai avuto la minima intenzione di compiere un gesto politico forte. Dopo aver deliberato l’ampliamento, perché diversamente non avrebbe potuto fare, ha dribblato furbescamente la sua scelta addossando a Berlusconi il non aver avvertito di accordi prestabiliti. Nel suo atteggiamento, dunque, l’antiamericanismo radicale e il gauchismo europeista si sono fusi in maniera evidente. Possiamo dire, quindi, che, con tutte queste componenti ideologiche, il risultato è una politica sostanzialmente realista. Una politica, cioè, che rifiuta di acquisire un ruolo attivo nella difesa della libertà globale, ma che tende all’effimera ricerca di una sicurezza interna nel breve periodo. Lo slogan del dissenso verso i governi americano e israeliano (che rifugge, a loro dire, dalla contrapposizione ideologica verso i rispettivi popoli) non ha significato. Il fondamentalismo islamico, infatti, agisce a causa di una profonda spinta ideologica, che spinge a voler distruggere l’Occidente in quanto tale, con il suo patrimonio di valori, libertà, cultura. La sinistra italiana, inequivocabilmente, si sta tirando indietro dalla difesa.Al contrario di quanto D’Alema possa pensare, l’11 settembre non è stato soltanto un brusco risveglio dal pensiero che “l’economia di mercato potesse darci il migliore dei mondi possibili”. L’11 settembre è stato ben altro: una dichiarazione di guerra alla nostra civiltà, ai nostri valori, a quella libertà costruita con secoli di storia...Saluti azzurri

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